michela esposito Gio Gen 06, 2011 9:34 pm
Nel suo testo più noto, Susan Moller Okin (justice, Gender and the Family, 1989) l’autrice affronta il problema dell’ingiustizia verso il genere femminile facendolo derivare principalmente dalla divisione asimmetrica del lavoro, che si realizza già a partire dalla sfera domestica.
La Okin non condivide la posizione di Pateman e di tutte quelle pensatrici che sono orientate verso la considerazione del femminismo come una lotta per l’estensione alle donne delle condizioni maschili senza interrogarsi sulle radici storiche della diseguaglianza. Essa si arrocca su posizioni di rifiuto netto verso ogni esaltazione del concetto di “funzione”, anche quando parrebbe derivarne una valorizzazione complessiva delle donne. Dal punto di vista della Okin, la questione fondamentale, non è capire in che cosa le donne sono diverse, ma chiedersi perché le donne sono state diversamente considerate. Non esiste per lei, alcuna valida ragione per intervenire nei confronti delle donne in maniera iperprotettiva, garantendo a priori quote, spazi e ruoli riservati esclusivamente a loro.
La questione della differenza sessuale ha interessato sin dalle origini il pensiero occidentale: i FILOSOFI GRECI per primi tentarono di spigare come la specifica divisione dei ruoli che la società affida agli uomini e alle donne, sia determinata dalla differenziazione operata in base alla diversità biologica. È grazie al femminismo poi, che il genere ha cominciato ad essere riconosciuto come una questione sociale di centrale importanza: le femministe sostengono che il genere sia un prodotto della società, non della biologia. Il sesso determina differenze nell’aspetto fisico, nelle capacità, ma certamente non crea differenze di tipo psicologico morale e sociale.
Susan Moller Okin offre una chiave di lettura personale dei classici, e fa emergere come la tradizione filosofica occidentale, per il fatto di fondersi sull’importanza e la necessità della famiglia, ha tenuto fuori le donne dalla partecipazione pubblica e dal potere politico. La filosofia associa le donne alla passività, all’emotività, alla sottomissione, essendo prive di quelle abilità e capacità prettamente maschili. Questo fenomeno affonda le sue radici in Aristotele, il quale aveva categoricamente le donne alla sfera della giustizia domestica, attribuendo loro l’esclusiva funzione di aiutare, accudire e curare chi era considerato invece umano in modo piu pieno. Platone è il primo ad interrogarsi sul problema delle donne come problema politico di tutti. A Mill afferma che ogni distinzione tra uomo e donna, che mantenga quest’ultima in condizione di sottomissione, non è possibile in un mondo che ha già abolito la distinzione tra schiavo e uomo libero, servo e padrone, che riconosce l’esempio della Regina Vittoria, e non ha ancora donne in Parlamento.
Per la Okin i filosofi hanno considerato la donna solo in base alla loro funzione riproduttiva.
L’eliminazione della famiglia, compiuta da Platone fa venir meno la giustificazione della specialità del ruolo della donna su cui pesa l’intera responsabilità della famiglia e apre la prospettiva a due principali soluzioni interpretative: intendere la differenza sessuale come dipendente dalla storia oppure chiedersi cosa le donne possono essere, o diventare…(esempio di Sparta in cui le donne fanno parte dell’organizzazione della città come gli uomini)
L’autrice stessa, quando affronta direttamente la dicotomia tra pubblico e privato, precisa il suo concetto secondo cui la famiglia può diventare il nucleo centrale delle politiche sociali per ridurre e combattere l’ingiustizia, una volta compreso che l’elemento principale da cui scaturiscono le ingiustizie della famiglia è l’ineguale distribuzione del lavoro retribuito fuori casa e in casa.
La famiglia deve essere un campo d’azione per le politiche sociali tendenti alla giustizia tra i sessi. Vi sono molte altre istituzioni sociali oltre alla famiglia che potrebbero contribuire alla giustizia fra i sessi come il luogo di lavoro e la scuola. È essenziale una legislazione che dia ai lavoratori e alle lavoratrici il diritto a congedi pagati e non pagati per maternità, orario di lavoro ridotto o flessibile, custodia per i bambini sul luogo di lavoro ed altre condizioni di lavoro che favoriscono la famiglia.
Buona parte dell’analisi dell’autrice verte sul fatto che non si tratta di eliminare la differenza tra i sessi, quanto di superare il modello gerarchico e lo svantaggio tra i generi, conservando quella diversità che rende la donna unica a rafforzare la specificità femminile. Tutta la trattazione della Okin si fonda sulla percezione che la separazione fra pubblico e privato è una costruzione per lo più ideologica e sostiene di non tollerare che proprio nella famiglia si perpetrino forme di ingiustizia basate sul genere.
Per la Okin non può esserci una società giusta se la famiglia, da sfera domestica e protetta dalla privacy, non viene ricondotta a un problema anche politico. Nell’affrontare la questione, perciò in "le donne e la politica. La famiglia come problema politico" la filosofa incentra la sua analisi sulla polemica aperta intorno alla costruzione della struttura sociale in base al genere inteso come istituzionalizzazione, profondamente radicata a difesa della differenza sessuale.
Ciò che avviene fra le pareti domestiche non è affatto immune dalle dinamiche del potere e viceversa. L’uguaglianza tra i sessi non può avvenire spontaneamente e a questo scopo, è indispensabile indirizzare cambiamenti giuridici politici e sociali: l’autrice è convinta che una famiglia senza genere possa contribuire all’eguaglianza d’opportunità per le donne e per i bambini e possa creare un ambiente più favorevole alla formazione di cittadini di una società giusta.
Molte idee della Okin, pur con riserve, sono state recuperate e rielaborate da Kymilicka che fa derivare la diseguaglianza delle donne essenzialmente dall’incompatibilità tra il lavoro di cura e il lavoro retribuito. Secondo Kymlicka le donne devono essere libere di ridefinire i ruoli sociali e perché ciò possa avvenire è necessario sostituire l’obiettivo politico dell’uguaglianza con quello dell’autonomia. Del resto sono evidenti i limiti di un approccio all’eguaglianza che non tenga conto della famiglia non riconoscendo il lavoro domestico o considerando “privati” i rapporti familiari.
La riflessione sul multiculturalismo ha trascurato il nesso tra cultura e genere, cioè il rapporto complesso e spesso conflittuale che intercorre tra le donne e le regole culturali e sociali delle comunità a cui appartengono. Il rischio più preoccupante del multiculturalismo è che i risultati ottenuti dalle donne in occidente siano rimessi in discussione, o possano subire un rallentamento con la legittimazione di pratiche della comunità di immigrazione che codificano il ruolo subalterno alle donne.
Questa preoccupazione è evidenziata da Susan MOller Okin nel famoso articolo pubblicato nel 1997 sul Bosto Review: il multiculturalismo danneggia le donne? Nel quale definisce il tema del dialogo interculturale, per definire i limiti oltre i quali il rispetto per le differenze culturali deve cedere all’affermazione di diritti individuali. Naturalmente questa operazione non trova esito nella semplice riproposizione di un universalismo giuridico insensibile alle differenze.